Ci sono libri capaci di lasciare con sentimenti contrastanti, di farsi odiare per alcuni aspetti e amare per altri. Difficile parlare di libri così, difficile classificarli ed etichettarli con una valutazione univoca. A volte diventa complicato perfino capire se sono piaciuti o meno. “Who fears death“, un fantasy post-apocalittico dell’autrice statunitense Nnedi Okorafor, è uno di questi libri, e una sola cosa è certa: non può lasciare indifferenti.
Il romanzo non è stato tradotto in italiano. Di seguito lascio la descrizione così come appare sull’edizione statunitense:
“In a post-apocalyptic Africa, the world has changed in many ways; yet in one region genocide between tribes still bloodies the land. A woman who has survived the annihilation of her village and a terrible rape by an enemy general wanders into the desert, hoping to die. Instead, she gives birth to an angry baby girl with hair and skin the colour of sand. Gripped by the certainty that her daughter is different – special – she names her Onyesonwu, which means ‘Who fears death?’ in an ancient language. It doesn’t take long for Onye to understand that she is physically and socially marked by the circumstances of her conception. She is Ewu – a child of rape who is expected to live a life of violence, a half-breed rejected by her community. But Onye is not the average Ewu. Even as a child, she manifests the beginnings of a remarkable and unique magic. As she grows, so do her abilities, and during an inadvertent visit to the spirit realm, she learns something terrifying: someone powerful is trying to kill her. Desperate to elude her would-be murderer and to understand her own nature, she embarks on a journey in which she grapples with nature, tradition, history, true love, and the spiritual mysteries of her culture, and ultimately learns why she was given the name she bears: Who Fears Death.“
Ci troviamo in un Sudan futuribile che pure è vessato da problemi molto attuali. O sarebbe meglio dire eterni. Il setting a metà tra fantasy e fantascienza non inficia la cruda realtà degli argomenti trattati.
La narrazione è in prima persona (tranne gli ultimi capitoli) e segue il punto di vista di Onyesonwu. Già dalla caratterizzazione del personaggio principale è possibile intuire quali tematiche dure l’autrice affronta nel corso del libro: Onye è nata da uno stupro, figlia di una donna Okeke dalla pelle scura e di un uomo Nuru dalla pelle chiara. Il suo aspetto la identifica senza possibilità di errore come una mezzosangue e per questo viene nel migliore dei casi temuta e nel peggiore minacciata dalla società che la circonda. Per farsi accettare dalla gente del suo villaggio, Onye decide di sottoporsi alla mutilazione genitale femminile.
Tra queste pagine non c’è spazio per eufemismi o giri di parole, non c’è niente di edulcorato o addolcito, ma nemmeno di ostentato. La violenza esce dalla dimensione spettacolare tipica di certe narrazioni degli ultimi anni e si mostra, semplice e terribile, per quello che è.
La protagonista si fa portatrice delle tematiche e del loro sviluppo attraverso la narrazione. Il suo percorso di crescita come strega e come donna si accompagna all’elaborazione della riflessione su discriminazione e violenza, in modo spesso poco pacifico, ma sempre complesso. Non c’è niente di banale nel pensiero che emerge dalle varie scene. Più volte vediamo gli oppressi diventare oppressori, esploriamo i limiti delle classificazioni e degli irrigidimenti sociali, delle etichette e dei nomi. Non per niente Onye è una mutaforma, capace di cambiare il proprio aspetto e travalicare i confini. Con lei esploriamo il mondo in tutte le sue sfumature di grigio.
Eppure non è un libro privo di difetti. La sua forza risiede nel tema, ma la struttura risente di una certa debolezza intrinseca. Dopo una prima parte fatta di scene forti, la seconda subisce un brusco rallentamento e un infiacchirsi della potenza narrativa, che torna a gonfiarsi sul finale, denso di spiritualità.
Un altro problema riguarda il sistema magico, che è troppo importante ai fini della storia per avere così poche regole. Onye può fare quasi qualsiasi cosa e il suo potere si accresce di pagina in pagina senza che al lettore vengano fornite spiegazioni.
Lo stile dell’autrice non è dei più fluidi, tende a raccontare più che a mostrare e a tratti si fa così essenziale da risultare scheletrico. Nei libri della Okorafor percepisco poco gusto per la parola in sé e il contenuto tende a prevaricare la forma.
In definitiva è un libro che ho apprezzato per l’onestà e la schiettezza con cui affronta argomenti di cui perfino i giornali faticano a parlare. Credo che la sensibilità dell’autrice e la sua capacità di non trasformare temi difficili come la diversità e la discriminazione in slogan da social network valgano da sole la lettura del romanzo.